Perché la castrazione chimica non è la soluzione per prevenire gli stupri
Smask.online
28 Novembre
La violenza sessuale – soprattutto se compiuta da stranieri – è da sempre uno degli elementi più utilizzati e abusati dalla comunicazione della “Bestia” per scatenare e incanalare l’indignazione e l’odio del popolo social.
“Ci vorrebbe la legge del taglione. Ma ci accontentiamo di quella chimica”, commenta un utente.
La “castrazione chimica”, evocata più e più volte dal cosiddetto Capitano, rimanda a “un immaginario di vendetta alla Kill Bill, un’idea di giustizia basata sull’occhio per occhio (quanto di più lontano da uno stato di diritto o da una democrazia come quella italiana), quando in realtà è una procedura reversibile e volontaria”.
Essendo quindi una procedura medica reversibile e volontaria, una sua applicazione forzata contro la volontà del paziente sarebbe anticostituzionale.
Se prendiamo in considerazione Paesi come Svezia, Finlandia, Germania, Danimarca, Norvegia, Belgio e Francia scopriremo che se ne fa un uso estremamente limitato e subordinato al consenso del condannato, che deve essere informato degli effetti collaterali.
Insomma niente legge del taglione, nessuna soluzione definitiva o punizione esemplare. Sventolare lo spauracchio della castrazione chimica è un altro modo per provare a risolvere i problemi con semplici slogan comprensibili da tutti.
Molto più difficile (e corretto) sarebbe parlare della complessità che si cela dietro questi crimini, ricordando che lo stupro non è solamente una questione di ormoni da inibire, come giustamente osserva Jennifer Guerra di The Vision: “Pensare che la castrazione chimica sia la soluzione per la violenza sessuale significa spostare l’attenzione da chi commette l’abuso allo strumento con cui viene commesso: lo stupro non è una questione di “ormoni”, ma un esercizio di potere”.
Fonti: