Delegittimare la magistratura è un gioco molto pericoloso

Smask.online

29 Settembre

La martellante campagna contro la magistratura della bestia fa leva su casi, anche molto gravi, di singoli comportamenti scorretti. Ma delegittimare la magistratura in blocco è un gioco molto pericoloso.

Ci sono magistrati che hanno il curriculum di Federico Cafiero De Raho, l’attuale procuratore nazionale antimafia (un ruolo fortemente proposto da Giovanni Falcone): “Laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II è entrato nella magistratura italiana nel 1977, pubblico ministero a Milano e dal 1984 a Napoli, ha condotto numerosi processi ed indagini giudiziarie contro la camorra, in particolare contro il clan dei casalesi facendo catturare numerosi latitanti e coordinando un pool di magistrati che ha indagato sulle cosche del casertano; negli anni 1990 e 2000 ha fatto parte del pool che ha coordinato le indagini contro il clan camorristico dei casalesi, attività investigativa che poi è sfociata nel famoso Processo Spartacus dove De Raho ha rappresentato la pubblica accusa facendo condannare centinaia di camorristi.
Dal 2006 al 13 marzo 2013 è stato Procuratore aggiunto di Napoli. Il 13 marzo 2013 il plenum del CSM lo nomina, con 12 voti a favore, nuovo procuratore della Repubblica di Reggio Calabria. L’8 novembre 2017 il plenum del CSM lo nomina, all’unanimità, nuovo Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo”.

Ha recentemente espresso il suo disappunto per l’invio ai domiciliari di vari mafiosi e preoccupazione per il rischio che la criminalità organizzata approfitti della crisi COVID 19 per mettere le mani su aziende in difficoltà.

Fra i suoi predecessori  vi sono stati magistrati come Bruno Siclari, Pierluigi Vigna, Pietro Grasso, Franco Roberti. Persone diverse fra loro da vari punti di vista, di orientamento politico-culturale differente, occasionalmente criticati per questa o quella dichiarazione, come è giusto che sia in democrazia. 

Ma se in Italia migliaia di mafiosi sono stati arrestati, processati e condannati lo si deve anche al lavoro di queste persone. Non li trovate al “lavoro” su Facebook, lavorano per noi altrove.


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