Il Capitano telefona al Generale.

Smask.online

22 Agosto

Antologia del parà Vannacci, il più amato dagli italiani.

Letto e trascritto per voi lettori di Smask, nel caso pensiate che quelle riportate dalla stampa siano poche frasi ‘avulse dal contesto’. Ed eccone allora qualche altra tratta dal minestrone servito come rancio nella caserma.

Cap. I: IL BUONSENSO

“Basta aprire quella serratura di sicurezza a cinque mandate che una minoranza di delinquenti ci ha imposto di montare sul nostro portone di casa per inoltrarci in una città in cui un’altra minoranza di maleducati graffitari imbratta muri e monumenti, sperando poi di non incappare in una manifestazione di un’ulteriore minoranza che, per lottare contro una vaticinata apocalisse climatica e contro i provvedimenti già presi e stabiliti dalla maggioranza, blocca il traffico e crea disagio all’intera collettività. I dibattiti non parlano che di diritti, soprattutto delle minoranze: di chi asserisce di non trovare lavoro, e deve essere mantenuto dalla moltitudine che il lavoro si è data da fare per trovarlo; di chi non può biologicamente avere figli, ma li pretende; di chi non ha una casa, e allora la occupa abusivamente; di chi ruba nella metropolitana, ma rivendica il diritto alla privacy”.

“Il lavaggio del cervello a cui siamo sottoposti giornalmente volto ad imporre l’estensione della normalità a ciò che è eccezionale ed a favorire l’eliminazione di ogni differenza tra uomo e donna, tra etnie (per non chiamarle razze), tra coppie eterosessuali e omosessuali, tra occupante abusivo e legittimo proprietario, tra il meritevole ed il lavativo non mira forse a mutare valori e principi che si perdono nella notte dei tempi?”.

“i concetti di dovere, servizio, dedizione, Patria, sacrificio, gavetta, merito, tutti sostituiti dal pensiero plenipotenziario del “diritto ad avere diritti”.

Cap. II: L’AMBIENTALISMO

“L’uomo non ha pulsioni avverse contro la Natura ma, come ogni altro essere che nell’ambiente lotta quotidianamente e continuamente per la propria sopravvivenza, cerca di crearsi le condizioni di vita più prospere possibile a discapito, spesso, di ciò che lo circonda. Il torto dell’uomo è quello di essere la specie dominante degli ultimi 50.000 anni e di aver acquisito una capacità di sopravvivenza e di adattamento infinitamente superiore a quella delle altre specie”.

“Non è la terra che deve essere salvata. La Terra si salva da sola fregandosene del genere umano. La Terra ci è già passata decine di volte e recenti studi hanno dimostrato che le calotte polari si sono già fuse circa 100 milioni di anni fa alla fine del Cretaceo. Solo che, nella mente distorta di qualche ecologista della domenica lo sconvolgimento del Cretaceo era naturale e quindi “buono” a prescindere”.

“Ma ogni progetto viene ostacolato dai verdi, dagli ambientalisti, dagli amanti degli animali, dagli eco-ansiosi, dai progressisti, dai sostenitori delle trote e delle anguille, dai protettori delle lontre e dai fanatici della legge sulla restaurazione della Natura, tanto cara a Timmermans, che le dighe le vorrebbe distruggere per lasciar libero il passo a salmoni e lamprede”.

“La petizione che richiede lo stop immediato a nuovi impianti di estrazione di derivati fossili, firmata a gennaio scorso da quasi un milione di “gretini” e consegnata al World Economic Forum di Davos, è una vera condanna al suicidio economico ed industriale”.

“La recente intervista tragicomica di fronte al Ministro Pichetto Fratin della volubile ragazza dai lunghi capelli mori che irrompe in un pianto incontenibile a causa dell’ansia climatica ha del grottesco: ogni anno muoiono 3000 persone sulle strade solo in Italia; se ti azzardi ad avventurarti di notte in una stazione ferroviaria di una delle nostre metropoli hai una buona probabilità di essere stuprato o derubato; il Vesuvio ed i Campi Flegrei potrebbero detonare in qualsiasi momento ed inghiottire milioni di partenopei tra cenere e lapilli; […]Tuttavia, con più calma, viene a galla che la tenera figliuola, che sembra uscita dalla saga della famiglia Addams, si chiama Giorgia Vasaperna, ha 27 anni e si definisce “femminista, scrittrice, attrice, viaggiatrice, vegetariana”. La sua parte l’ha recitata scegliendo come palcoscenico la Sala Blu del Gifoni festival”.

“Non ci sono termini da rispettare ma solo bilanci da redigere per capire la fattibilità e la convenienza delle azioni da intraprendere oggi per garantirci un costante progresso nel futuro. Il termine improcrastinabile è solo nei neuroni malandati dei forsennati dell’ambiente che, guarda caso, vengono finanziati per condurre le loro plateali e dannose manifestazioni dai magnati d’oltre oceano. Le proteste sono sostenute dal Climate Emergency Fund, con sede nella ricchissima ed esclusiva Beverly Hills, in California. L’organizzazione elargisce mazzette di bigliettoni per mobilitare gli attivisti soprattutto nel Vecchio Continente e nel civilizzato “Occidente”, perché in Cina, Russia e India tali espedienti non funzionano”.

“Non è che i marxisti reali, quelli che vorrebbero “comunizzare” il mondo e livellare la società non si siano ancora arresi alla plateale sconfitta di questa ideologia che in tutto il 900 si è dimostrata fallimentare ed ora usano lo spettro dell’ecologia e dell’ambientalismo in funzione anti- capitalista? Non è che la cosiddetta “giustizia climatica” servirebbe quale alter ego del “regime del terrore” per cercare di scardinare le basi sulle quali si è sviluppata la benestante società occidentale moderna?”.

Cap. III: ENERGIA

“Per quanto attiene il carbone, è la fonte fossile più vecchia e inquinante che si conosca ma rappresenta comunque una valida alternativa quando tutto potrebbe cadere a rotoli. Ha un senso radere al suolo le centrali che funzionano con tale combustibile? Il noto buonsenso ci consiglierebbe di mantenerle in piedi, magari a regime nullo o minimo, al fine di poterle impiegare nei momenti di estremo bisogno. Come peraltro successo proprio subito dopo lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina alla faccia degli ambientalisti che, comunque, grazie a questo provvedimento hanno potuto continuare a riscaldarsi ed a impiegare le varie utenze elettriche che ormai tutti abbiamo nelle nostre case”.

Cap. IV: LA SOCIETA’ MULTICULTURALE MULTIETNICA

“Fu nel 1975, quando con tutta la famiglia ci trasferimmo a Parigi che, per la prima volta, cominciai a venire a contatto quotidianamente con persone di colore. Mi ricordo nitidamente quanto suscitassero la mia curiosità tanto che, nel metrò, fingevo di perdere l’equilibrio per poggiare accidentalmente la mia mano sopra la loro, mentre si reggevano al tientibene dei vagoni, per capire se la loro pelle fosse al tatto più o meno dura e rugosa della nostra. Li guardavo continuamente, con quella scarsa discrezione che caratterizza l’atteggiamento di molti bambini curiosi, e mi colpiva sia la tonalità molto più chiara del palmo delle loro mani sia il netto contrasto che si percepisce nei loro occhi dove la sclera – la parte bianca del bulbo oculare – si staglia con i colori estremamente scuri delle loro pupille. Bastarono poche settimane e la vista dei neri smise di incuriosirmi”.

“Scontri sanguinosi tra induisti e mussulmani e sane scazzottate tra vegetariani e onnivori sono all’ordine del giorno e si trasformano, purtroppo spesso, in cruente tragedie. … Se viaggiare lo trovate costoso e scomodo ma vi fidate della rete, basterebbe una veloce ricerca su internet per scoprire che tra i paesi in cui i crimini a sfondo razziale sono in aumento emergono indubbiamente tutte quelle società caratterizzate da una presenza multietnica importante”.

“Tra le poche poesie studiate a memoria ai tempi della scuola ancora mi sovviene di “Marzo 1821” in cui il Manzoni si lancia in una definizione poetica di Patria come “una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie di sangue e di cuor”. In essenza, più che dai confini geografici, dal colore della pelle o dalle caratteristiche delle leadership politiche, un popolo si riconosce in un patrimonio comune di tradizioni militari, culturali, linguistiche, religiose e in un passato condiviso che costituisce legante insostituibile e fondante della società”.

“Per quella Patria che integra la famiglia, gli amici, le tradizioni, gli odori e i sapori dei luoghi dove si è nati, le memorie comuni e quanto ci lega attorno al concetto di cittadinanza allora si è pronti a tutto. Lo sanno i nostri nonni morti ad El Alamein o sulle alture del Carso o i cui corpi sono ancora racchiusi nei sommergibili Scirè o Malachite nel profondo degli abissi”.

“È violento pretendere, come lo prevede l’ordinamento nazionale, che le donne, benché, islamiche, abbiano il viso scoperto in pubblico, poiché la loro cultura lo impone. È inumano esigere di applicare il divieto di accattonaggio ai Rom, visto che da secoli hanno basato la loro sopravvivenza su tale espediente. Anche lo stupro, come già detto, può essere giustificato nell’Italia aperta, inclusiva e multiculturale, visto che chi sbarca sulle nostre coste viene da paesi così diversi che non può immaginare che la violenza carnale sia vietata nel Belpaese. Il cruento omicidio della povera adolescente pakistana Saman Abbas, strangolata dai parenti vicino a Novellara perché voleva vivere all’occidentale, ha anche trovato tentativi di giustificazione da parte dei multiculturalisti radicali che minimizzano parteggiando per le attenuanti culturali. Analogamente, pur senza contravvenire a leggi e a disposizioni normative, in nome del multiculturalismo si arriva a difendere qualsiasi cosa: diventa lecita l’istanza di qualche minoranza che vorrebbe evitare di festeggiare il Natale nelle scuole, perché esiste anche chi non celebra la nascita del Cristo; l’Unione Europea emana disposizioni intese a rendere inopportuni gli auguri in occasione delle feste cristiane, poiché conviviamo con chi cristiano non è; la richiesta di eliminare la carne di maiale dalle mense è accolta con favore, poiché il prosciutto che noi mangiamo da secoli è poco gradito alla minoranza mussulmana trasferitasi nella penisola”.

“Se queste sono le premesse, se la tengano loro la società multiculturale perché a me inorridisce! E penso faccia schifo a tutti i neri, alle donne, agli omosessuali, ai vegani e agli animalisti e a tutti quegli esponenti di minoranze che sono meritevoli e che vogliono affermarsi in base alle loro capacità”.

“Mi piace la mia cucina, i cantautori nazionali, l’odore del pane fresco al mattino e le campane che suonano la domenica. Le altre culture le rispetto, non le voglio cambiare, a volte le apprezzo e ne so valorizzare alcuni tratti piacevoli e positivi ma non le sostituirei alla mia. E non voglio che nessuno ci provi con la mia. .. Sì, perché forse ingenuamente ed illudendomi un po’, ritengo che nelle mie vene scorra una goccia del sangue di Enea, di Romolo, di Giulio Cesare, di Dante, di Fibonacci, di Giovanni dalle Bande Nere e di Lorenzo de Medici, di Leonardo da Vinci, di Michelangelo e di Galileo, di Paolo Ruffini, di Mazzini e di Garibaldi”.

“Anche se abbiamo seconde generazioni di Italiani dagli occhi a mandorla, il riso alla cantonese e gli involtini primavera non fanno parte della cucina e della tradizione nazionale; anche se Paola Egonu è italiana di cittadinanza, è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità che si può invece scorgere in tutti gli affreschi, i quadri e le statue che dagli etruschi sono giunti ai giorni nostri; anche se vi sono portatori di passaporto italiano che pregano nelle moschee, ciò non cancella 2000 anni di cristianità”.

“L’ospite, qualora non contento di quello che la nostra società possa offrire, è libero di andarsene, di spostarsi e di trovare un luogo a lui più congeniale. Ci sono tanti altri paesi, oltre l’Europa, che garantiscono l’assenza di guerre, carestie, e fame. In Algeria, Marocco, Tunisia, Egitto, Turchia, non si muore d’inedia e non vi sono conflitti. In Senegal ed in Ghana neanche, come tutto sommato sono garantiti i diritti umani fondamentali in India, in Pakistan in Kazakistan, in Mongolia, in Nepal, in Sudafrica, in Niger ed in tutta l’Indonesia e ne potrei citare quanti ne volete”.

“Fintanto che il Vecchio Continente rappresenterà l’Eldorado dove si vive, si mangia, si dorme, si è curati vestiti e nannati senza dover lavorare e dove si può delinquere senza alcuna conseguenza è chiaro che nulla cambierà. Non ci vogliono sociologi, studiosi, scienziati e illuministi per capirlo”.

“La cattolicissima Polonia, patria di Papa Giovanni Paolo II, che per respingere quelle poche migliaia di iracheni che il buon Lukashenko gli faceva arrivare sotto forma di ricatto ha steso fili spinati e mobilitato esercito e polizia per un’operazione di caccia al clandestino. La stessa Polonia che ha invece aperto le porte a più di un milione di Ucraini dalla carnagione sicuramente più chiara dei pochi mediorientali che Minsk cercava di far infiltrare dalle foreste”.

Cap. V: LA SICUREZZA E LA LEGITTIMA DIFESA

“Guai a reprimere, vietato vietare, mal gliene colga al povero poliziotto che, manganello in mano, tenta di fermare le orde di violenti manigoldi”.

“I fanatici dei sindacati che, non accontentandosi di scioperare, inducono al picchettaggio degli ingressi nelle fabbriche. Ulteriormente bizzarro e stomachevole, inoltre, che gli stessi soggetti che si inalberano sdegnati per la pubblicazione online dei volti di chi commette reati siano invece i primi a gioire accusando gli appartenenti alle forze dell’ordine la cui identità viene deliberatamente divulgata in qualche loro presunto eccesso nell’uso della forza. In quel caso la privacy non esiste più, l’odio ritorna in soffitta, la discriminazione non è d’uopo: bisogna far conoscere il nome, cognome e indirizzo del vigile, poliziotto o carabiniere che potrebbe aver abusato dell’uso della forza nella concitazione dell’evento”.

“Ho vissuto 2 anni a Bucarest, dal 2000 al 2002, e vi posso assicurare che, anche in quei tempi lontani, la percezione della sicurezza era notevolmente a favore dello stato balcanico. Niente sbarre alle finestre, niente porte blindate, pochi furti di auto e una microdelinquenza visibile, sicuramente, ma generalmente meno pericolosa ed invasiva di quella di stampo nazionale. In quel periodo mi avevano rubato l’autoradio e la polizia, intervenuta su mia chiamata, era giunta sul luogo per rilevare le impronte digitali all’interno della mia vettura. Non so se in seguito sia stata condotta alcuna indagine per il reato, ma l’atteggiamento era stato indubbiamente incoraggiante. E dire che proprio in Italia opera una fetta di delinquenti proviene dalla Romania. Provate a chiedervi il perché abbiano scelto la nostra penisola quale teatro preferito del loro malaffare?”.

“E poco importa se per i pochi faziosi capeggiati da Michela Murgia la vista dei militari armati e delle mimetiche nei centri cittadini disturba ed evoca le dittature del Sud America. Sindaci ed assessori, anche dei più piccoli borghi, hanno richiesto a gran voce l’intervento dell’Esercito nelle stazioni ferroviarie e nei luoghi più critici dei loro centri urbani proprio perché i benefici che ne derivavano erano palpabili e sotto gli occhi di tutti e la cittadinanza lo riconosceva apertamente”.

“Claudia Fusani, che come molti altri oltranzisti in ogni trasmissione si schiera contro il possesso di armi cosa propone? Se non posseggo un’arma, almeno quale extrema ratio, cosa posso fare? Quale sarebbe l’alternativa dell’onesto cittadino? Aspettare, arrendersi e pregare che i malviventi siano magnanimi? Dar loro tutto quello che chiedono? E se oltre ai soldi, gioielli e valori che mi sono costati anni di sacrifici e di onesto lavoro volessero anche farsi una sveltina con mia moglie o con mia figlia minorenne?”.

“Cosa ne so che il malvivente che aspira al mio portafogli non è pronto ad ammazzarmi anche a mani nude per ottenerlo? Cosa ne so se, anche disarmato, non possa usare oggetti contundenti per mettere in pericolo la mia vita? Cosa ne so se in tasca non abbia un martello o un cacciavite da usare prontamente? E se pianto la matita che ho nel taschino nella giugulare del ceffo che mi aggredisce – ammazzandolo – perché dovrei rischiare di essere condannato per eccesso colposo di legittima difesa visto che il povero malcapitato tentava solo di rubarmi l’orologio da polso? Perché devo provare che in quel repentino, concitato e adrenalinico nanosecondo a disposizione per decidere cosa fare non ho potuto valutare un’alternativa meno violenta che preservasse il povero assalitore?”.

Cap. VI: LA CASA

A proposito di case occupate e sfratti non eseguiti “Al riguardo, non vale classificare il caso come un’eccezione poiché basterebbe guardare la trasmissione “Fuori dal Coro” il martedì sera o passare un po’ di tempo su internet per trovare altre centinaia, se non migliaia di similari situazioni in cui i legittimi proprietari, alla fine dei conti, sono quelli che subiscono i torti e pagano pure i danni. Con un’espressione partenopea molto popolare si direbbe “cornuti e mazziati”.

“Ben venga, allora, la proposta di legge recentemente presentata che inasprisce le pene per chi occupa immobili abusivamente introducendo anche l’arresto in flagranza di reato e l’esclusione del rito abbreviato, che implica un sostanzioso sconto di pena”.

Cap. VI: LA FAMIGLIA

“Altra incredibile bordata proviene dal movimento femminista che si batte per l’emancipazione della donna. Oltre a promuovere istituzioni come il divorzio e l’aborto al suon dello slogan “tremate, tremate, le streghe son tornate” si oppone alla figura femminile intesa come madre. Le moderne fattucchiere sostengono che solo il lavoro ed il guadagno possono liberare le fanciulle dal padre padrone e dal marito che le schiavizza condannandole ad una sottomessa, antiquata, involuta ed esecrabile vita domestica”.

“Arrivano poi gli animalisti che sostengono che l’amore, che assolutamente non può definirsi affetto, è possibile anche nei confronti di una tenera bestiolina e che, quindi, pretendono esteso il concetto di famiglia a chi vive con un gatto, un cane, un porcellino d’India o, addirittura, un maiale. Non si spiegano il perché, dunque, alla scomparsa del padroncino l’adorato essere peloso non debba avere il diritto di percepire la pensione di reversibilità come invece l’avrebbe un coniuge o un figlio minorenne”.

“Allora chiamiamo in causa gli albatros, i bonobo, i polpi, le orate, le lumache e chissà quale altra bizzarra espressione del Creato per cercare di sconfessare ciò che invece appare chiaramente ed inequivocabilmente davanti ai nostri occhi. La normalità c’è. Esiste. Non per questo è buona o cattiva, migliore o peggiore, ma non la si può negare in nome di una artificiale e pretestuosa inclusività.

Con l’evolversi dell’uomo, inoltre, la famiglia naturale ha sempre costituito la cellula della società, l’elemento indivisibile che, sommato ad altri, ha dato luogo a civiltà e culture differenti tutte caratterizzate dallo stesso comune denominatore. Per quanto l’omosessualità esista da millenni e sia stata anche molto ben accettata e tollerata in alcuni periodi storici, essa non ha mai interferito con la famiglia alla quale sono sempre state riconosciute alcune basiche ed insostituibili funzioni sociali: la procreazione, l’educazione di figli e la naturale rappresentazione gerarchica del modello sociale”.

“Negli albatros – per esempio – ci sono pochi maschi e moltissime femmine (beati quei pochi!). Al momento della riproduzione una femmina si fa fecondare da un raro maschio e si cerca un’altra femmina per aiutarla a crescere il cucciolo. Traslato nell’ambiente umano, e con la malizia che contraddistingue solamente il sapiens, la potremmo definire una coppia lesbica, ma il fine ultimo di questo comportamento inusuale è sempre la continuazione della specie che i pochi maschi presenti non potrebbero altrimenti garantire”.

“Il cameratismo – altro termine passato purtroppo in disuso perché lo si è strumentalmente impregnato di ipocrita e artefatta ideologia – sottolinea proprio questo meccanismo. Negli affiatati manipoli in armi i componenti sono disposti a rinunciare agli affetti familiari, alle mogli e ai figli pur di mantenere fede al legame che li stringe fra loro e che si rivela spesso più saldo del giuramento di fedeltà alla Patria o alla bandiera. Gli antichi conoscevano bene la grande solidità di questi impulsi e riuscivano a sommare, quando necessario, la forza del cameratismo, dell’amicizia e dei legami parentali. Nella falange greca e macedone gli uomini prendevano posto a fianco di amici di vecchia data o di familiari e combattevano non solo per la salvezza della comunità e della propria terra, ma anche per il rispetto di coloro che stavano loro affianco. Il legame di sangue e l’amicizia si fondeva con il cameratismo”.

“Giustificare l’affidamento a coppie omosessuali usando il pretesto della moderna labilità dei matrimoni eterosessuali sarebbe come giustificare l’inizio di una maratona con una scarpa rotta, visto che tanto le scarpe si possono rompere a tutti”.

“Dalla transizione sessuale alla propaganda anti-famiglia tradizionale, tramite le proposizioni di improbabili modelli di famiglie allargate multietniche, multigenitoriali, multiorientate e inclusive per antonomasia gli attacchi rivolti soprattutto al pubblico giovane ed inesperto sono a dir poco continui. D’altra parte, i tentativi fatti negli anni settanta dalla generazione dei figli dei fiori caratterizzati dal libertinismo assoluto non sembrano aver conseguito ragguardevoli risultati”.

Cap. VII: LA PATRIA

“Napoleone Bonaparte. Ho sempre voluto che il grande generale facesse parte della schiera di patrioti nazionali da tenere con orgoglio in quel cassetto della memoria e da tirare fuori nel momento della necessità. Purtroppo non ce l’ho mai fatta, perché il grande stratega dell’800 era Francese e non apparteneva a quella che io considero la mia stirpe”.

“Non sono cittadino del mondo, non ho giurato fedeltà ai diritti, ai partiti, alle ideologie, ai popoli o a qualsiasi altra entità che esuli dal mio concetto di Patria. L’Europa non sostituirà mai la mia bella Italia che preferisco, nel bene e nel male, a qualsiasi altro paese solo per il fatto di sentirla mia e frutto, anche solo marginalmente, di quanto tutti i miei avi abbiano fatto negli anni passati”.

“Eccola la patria progressista. Peccato che questa visione assomigli molto a quella del paradiso dantesco piuttosto che alla cruda e dura realtà. È affine al regno dei cieli rappresentato in molti bassorilievi e affreschi medioevali al quale si contrapponeva un inferno fatto di diavoli, fuoco e pene corporali. Ma è una visione irreale e utopistica che è miseramente fallita ogni qualvolta si sia cercato di perseguirla. Il tentativo più conosciuto, e storicamente forse più significativo, è quello dell’Internazionale socialista, tanto cara a Marx, in cui in nome della solidarietà proletaria tutti i lavoratori si sarebbero dovuti unire travalicando frontiere, costumi, lingue e religioni. Quello che ne è scaturito sono una serie di dittature comuniste che, a cominciare dall’Unione Sovietica, sono fallite ovunque”.

“No! Non sono cittadino del mondo. Non credo alle patrie aperte, ideologiche o a quelle di tutti. A me, che ho vissuto per anni in zone di conflitto lontano dalla mia terra, distante dalla mia famiglia, dai miei affetti e dai miei parenti sognando ogni notte il momento del ritorno, questa fregnaccia non la raccontate”.

“Il sangue, il suolo, le radici e la tradizione, contrariamente a quanto sostenuto da molti, continuano ad avere il loro perché!”.

CAPITOLO VIII: IL PIANETA LGBTQ+++

“A pensarci bene, tranne rari estremismi, quello che accende le polemiche anche ai giorni nostri nei confronti dei gay non sono le disquisizioni circa i gusti personali e le preferenze all’interno di una camera da letto ma i comportamenti ostentativi ed esibizionisti e, soprattutto, l’elevazione di una questione relativa al gusto sessuale ad una pretesa di diritti familiari, civili e sociali”.

“Per cominciare a raddrizzare il mondo che ci è presentato sottosopra, è la quantificazione di chi non si inquadra nella sfera degli eterosessuali. In Italia l’ultima ricerca ISTAT sul tema risale al 201158 lasciando evincere che solo un milione di persone si è dichiarato omosessuale o bisessuale. Rapportato alla popolazione italiana sopra i 16 anni di età si tratterebbe pertanto di un misero 2%… Secondo l’INAIL, 6 persone su 10 nella Penisola soffrono settimanalmente di mal di schiena: eppure nelle nostre serie TV, giornali, spot pubblicitari e cartelloni non vediamo rappresentate schiere di lombopatici che deambulano a malapena e che reclamano busti ortopedici gratis.

Infine, sempre secondo dati ISTAT, la comunità degli over 80 rappresenta oltre il 7% della popolazione italiana: eppure i nostri cari anziani non vantano una loro bandiera e non sfilano in una manifestazione di orgoglio geriatrico, come invece la comunità gay ostenta. Quanti i nostri nonni scippati, derubati, derisi, picchiati, abbandonati, seviziati, offesi approfittando della loro condizione di fragilità e debolezza. Ma tutte queste odiose azioni non innescano i titoloni da prima pagina che appaiono sui giornali quando a subire la stessa odiosa violenza è un gay”.

“Il masochismo è definito come una “anomalia” e quindi non rientra nella normalità. Molto interessante far notare che l’omosessualità è universalmente riconosciuta come “variante non patologica dell’orientamento sessuale” e quindi, come tale, e come il masochismo, non può rientrare nella normalità anche tenuto conto delle percentuali estremamente minoritarie dei suoi adepti. Per anomalia si intende infatti “una deviazione dalla norma” e la variante si definisce come “una differenza rispetto al tipo o alla media o alla norma”… Superfluo continuare!”.

“Ma quello che è curioso e paradossale al tempo stesso – e che ancora una volta richiama il titolo e l’essenza di questo libro – è la strategia di far passare tutto ciò che non è etero come normale e, al contempo, di discriminare come anormali, malati, disagiati tutti quelli che esprimono critiche o opinioni non positive nei confronti del pianeta lgbtq+. Li si è voluti bollare con il termine di “fobia” che, nel vocabolario clinico, indica il disturbo d’ansia più comune spesso origine di invalidità e sofferenza. Omofobia, lesbofobia, bifobia, transfobia: con questi epiteti si indicano, come se fossero affetti da una terribile patologia, tutti quelli che provano antipatia ed avversione o che dimostrano di non condividere le tematiche tanto care agli arcobaleno”.

“Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione! Non solo ve lo dimostra la Natura, che a tutti gli esseri sani “normali” concede di riprodursi, ma lo dimostra la società: rappresentate una ristrettissima minoranza del mondo. Quando vi sposate ostentando la vostra anormalità la gente si stupisce, confermando proprio che i canoni di ciò che è considerato usuale e consuetudinario voi li superate”.

“Nessuno vuole condannare le predilezioni della sfera sessuale o vietare le unioni arcobaleno, anzi, sono tutte accettate e garantite nel riconoscimento e nei diritti, ma le stesse diventano fastidiose quando vogliono a tutti i costi essere parificate e considerate normali soprattutto se questo avviene con pretesa, sbandieramenti e ostentazione. Un esempio al riguardo: chiunque in Italia può farsi un tatuaggio in fronte emulando l’etnia Maori della Nuova Zelanda, niente e nessuno glielo proibisce ed è una pura questione di gusti e di estetica, ma certo costui viene considerato quanto meno un eccentrico e un diverso e, comunque, non è ammesso nei concorsi per entrare nelle Forze Armate e forse nemmeno in Magistratura o nella carriera diplomatica. Il gay, il masochista, il vegano, il mangiatore di cani o di gatti pure è un eccentrico, e tutte le porte gli devono essere aperte nel nome della parità, ma almeno non dovrebbe ostentare la sua eccentricità nel rispetto dei comportamenti e dei valori comuni. E comuni significa anche normali in quanto “appartenenti e condivisi dalla stragrande maggioranza”.

Infine, ci sarà sicuramente qualcuno che ordisce questo fenomeno, che traccia i palinsesti, che approva i programmi e che impone la direttiva di sovra- rappresentazione della comunità gay… Non so chi abbia ragione ma una cosa è certa, esistono dei gruppi di pressione e d’influenza che con una ben definita strategia, opportuni finanziamenti ed una pletora di mezzi esercitano il loro potere nei confronti del mondo dell’informazione, della politica e della società in genere.

 Alla luce di questo documento programmatico (/il libro “After the ball” pubblicato nel 1989 dai due intellettuali omosessuali Marshall Kirk e Hunter Madsen/) e di quanto è avvenuto nei trenta anni successivi dalla sua pubblicazione, è difficile pensare che non esista una potente lobby gay che funga da guida e da regia e attribuire tutto quanto è accaduto negli ultimi lustri al caso, alla coincidenza ed alla casualità”.

“Non ricordo un Gay Pride in cui il tema dominante non sia stato sconcezze, stravaganze, blasfemie e turpitudini. Anche le ultimissime versioni della sfilata hanno messo in gran mostra nudità volgari ed effusioni erotiche nebulizzate qua e là per tutto il corteo e immerse in una moltitudine di manifestanti oggettivamente più contenuti”.

“Dobbiamo ricorrere ad un idioma straniero e chiamarli gay perché i vocaboli esistenti sino a pochi anni fa nei dizionari, che sfogliavamo girandone le sottili pagine con la punta dell’indice inumidita, sono tutti considerati inappropriati, se non addirittura volgari ed offensivi. Pederasta, invertito, sodomita, finocchio, frocio, ricchione, buliccio, femminiello, bardassa, caghineri, cupio, buggerone, checca, omofilo, uranista, culattone sono ormai termini da tribunale, da hate speech, da incitazione all’odio e alla discriminazione e classificati dalla popolarissima enciclopedia multimediale Wikipedia come “lessico dell’omofobia”. Non ci resta che chiamarli gay importando un’altra parola straniera nel nostro lessico italiano, ma facendo attenzione al tono della voce e all’espressione del volto mentre pronunciamo il tri-letterale neologismo perché potremmo essere percepiti come aggressivi, escludenti e denigratori. Anzi, meglio non chiamarli affatto perché prima si vuole normalizzare il concetto di omosessualità, ma contestualmente ci si lamenta se questa diventa un segno distintivo. È così che, in nome del contrasto all’omofobia, si innesca la pressione psicologica opposta, quella che costringe le persone al timore reverenziale, alla sacralizzazione della categoria, ad abbassare gli occhi o a girarsi dall’altra parte quando se ne vede un rappresentante dinoccolare per strada. E se non ti adegui all’agenda progressista ed all’inclusivo pensiero radical chic vieni etichettato come omofobo, xenofobo, razzista e, ovviamente, anche conservatore, nostalgico, tradizionalista e, soprattutto, retrogrado a prescindere che tu lo sia o no”.

“Da queste premesse partono anche le crociate a favore dei grassi, dei pelosi, dei brutti, dei nani, dei mostri raccapriccianti descritti nelle bellissime storie che hanno affascinato la nostra infanzia. I personaggi vengono eliminati, trasformati, rinarrati per renderli, secondo loro, più accettabili da parte di tutti. Quelle che sono le caratteristiche peculiari e specifiche dei protagonisti delle fiabe vengono limate con la fresa dell’asineria: ma se un orco non è ributtante e disgustoso che orco è? Se una strega non è brutta, grifagna e bitorzoluta che strega è? Se Gargantua non fosse grasso, pingue e flaccido che ingordo sarebbe? Invece, sono molte le “edizioni progressiste” delle storie per bambini epurate e censurate”.

“Il prossimo passo quale sarà? Quello di metter in cantina le opere di Botero o quello di fasciare il David di Michelangelo perché rappresenta un corpo troppo tonico, muscoloso, ed armonico che potrebbe offendere chi ha qualche chilo di troppo? Faremo riscolpire un discobolo con le tette e le labbra gonfiate e rimodelleremo la Nike di Samotracia in stile curvy?

Ma la comunità gay fa sentire la propria influenza anche e soprattutto in questo settore perché per cambiare la società nel senso da loro auspicato non c’è operazione più efficace che cominciare dall’infanzia e dalle scuole. Quando, da bambini, leggiamo storie di navigatori, cavalieri e principi sogniamo, se vestiamo una gonnellina, di trovare il principe azzurro con cui passare le nostre giornate felici e contente, se invece siamo dei turbolenti moschettieri, di trovare la nostra principessa che salveremo con il bacio del vero amore. Se siamo maschi ci personifichiamo in Superman, in Zorro, nell’uomo ragno o in Peter Pan, e magari giriamo per le strade cittadine con un cappello verde sormontato da penna e brandiamo uno spadino di cartone in mano. Le mie figlie mi hanno assillato per mesi perché, nei loro anni più teneri, volevano a tutti i costi vestirsi da Elsa, principessa di Frozen ma, vi assicuro, a nessuna di loro è mai venuto in mente di chiedermi quale fosse l’orientamento sessuale dell’eroina. In queste ovvie manifestazioni dei bambini non c’è nulla di strano o da correggere perché, sempre stando ai numeri, la normalità è  etero! Più del 90% della popolazione si riconosce nell’attrazione verso il sesso opposto e per un misero 3% di dichiarati “diversi” non possiamo capovolgere il mondo e, men che meno, partendo dall’infanzia.

Non è questione di diritti né di discriminazione, è semplicemente questione di numeri che non parrebbero giustificare la “relativizzazione” dell’eterosessualità. Ma alla comunità lgbtq+ questo non sta bene e, nel nome dell’inclusività, dell’amore, della pace e della tolleranza spingono la Sony a rivedere la favola di Cenerentola facendo interpretare la fatina da Billy Porter, uomo afroamericano dichiaratamente gay. Anche la Mattel pubblicizza la versione gay-friendly di Barbie, raffigurata con risalta la scritta arcobaleno “love wins””.

“La stessa coniata dal “ddl Zan” che considera il sesso come un pensiero, una percezione, un’idea. Secondo il testo presentato, infatti, oltre al sesso – che fortunatamente rimane nel campo del binario, ovvero, o sei maschio o sei femmina – esiste il genere, ovvero, la manifestazione esteriore di una persona a prescindere dal suo sesso”.

“L’orientamento sessuale, che è l’attrazione verso persone di sesso opposto oppure uguale o entrambi e, dulcis in fundo, esiste l’identità di genere che è l’identificazione percepita e manifesta di sé a prescindere dal sesso biologico. Quindi, secondo Zan, io posso essere uomo fisiologicamente, nerboruto, irsuto e barbuto, ma se mi percepisco come donna tutti mi devono chiamare al femminile e devo aver accesso ai locali e alle manifestazioni riservate alle persone del dolce sesso. Se mi arrestano devo andare in un carcere per donne e se faccio una competizione sportiva non posso che gareggiare nel circuito rosa. Se poi sono alto, longilineo e di bella presenza, anche se i miei genitali sono maschili, posso presentarmi ai concorsi di bellezza con tacchi e minigonna e pure vincerli. No, non mi ha dato di volta il cervello perché tutti quanti gli aneddoti che ho provocatoriamente citato si sono puntualmente verificati, se non in Italia, in molti di quegli aperti e progressisti paesi che hanno già accettato questa astrusa e ridicola ideologia di genere.

Recentemente, in Scozia, Isla Bryson – una donna trans giudicata colpevole di due stupri compiuti prima di iniziare la transizione – è stata richiusa in un carcere femminile scatenando, giustamente, un putiferio. Lia Thomas ha portato alla ribalta delle cronache un caso ormai grottescamente noto da anni. Lia è un’atleta trans statunitense che, nel 2020, è passata dalle categorie maschili a quelle femminili del nuoto universitario e, guarda caso, sta vincendo tutto senza troppi sforzi. Certo, se basta la percezione di sé, perché per vincere dovrei misurarmi con chi ha il mio stesso fisico? Passo alla categoria donne e divento un olimpionico!”.

“Allo stesso modo, un adolescente di 16 anni ha già la barba e sfoggia un baffetto ordinato e curato, ha un bel fisico muscoloso perché fa sport agonistico e va bene a scuola, molto bene. Lui si percepisce come diciottenne perché vede i ragazzi che hanno solo due anni più di lui e sa che di punti gliene dà alla maggior parte di loro, sia fisicamente, sia come preparazione culturale e come maturità. Secondo il principio cardine ispiratore della legge contro l’omotransfobia il sedicenne potrebbe anch’egli farsi cambiare la data di nascita e, con i nuovi documenti recarsi alle urne perché, quello che conta, è solo come ci percepiamo, tutto il resto è oppressione! Perché il forzuto dovrebbe avere il diritto di farsi chiamare “Eleonora”, e guai a chi sbaglia o a chi ridacchia, e la bella e attempata signora non potrebbe avere lo stesso diritto di diminuirsi di una misera ventina d’anni l’età? E il giovane maturo, preparato e sportivo perché non potrebbe fare la stessa cosa raggiungendo l’età del giudizio con solo un paio d’anni d’anticipo? E che dire allora di moltissime altre percezioni: pensiamo a quelle sull’intelligenza. Chissà in quanti si percepiscono come degli acuti intellettuali ed ingegnosi intelligentoni ma, alla prova dei fatti, sono dei somari patentati. Cosa dovremmo fare con queste persone? Ammetterle come ricercatori al CNR sulla base delle loro personali percezioni per evitare di “opprimerli”?”.

“Ma è l’impianto stesso della legge promossa da Zan e da molti altri suoi colleghi che non condivido. Intanto mi baso sempre sui numeri – che fissazione – che dimostrano

che le violenze e le aggressioni nei confronti dei non eterosessuali avvengono in quantità marginale nel nostro paese e, sicuramente, sono inferiori per ordini di grandezza alle violenze contro i minori o gli anziani dimostrando che non vi è alcuna emergenza di violenza contro gli arcobaleno. Questo parametro non è insignificante perché la media di meno di 60 segnalazioni all’anno per crimini o discorsi d’odio per orientamento sessuale dimostra che l’Italia è tutt’altro che un paese omofobo o discriminatorio nei confronti dei gay rispetto a come lo si vorrebbe rappresentare. Inoltre, la proposta avanzata è profondamente liberticida: chiunque esprima un’opinione che possa essere percepita come offensiva o discriminante nei confronti della comunità lgbtq+ rischia di essere sottoposto a giudizio per appurare se si tratti di libera espressione delle proprie opinioni o di omofobia ed incitazione all’odio. Per quanto esecrabile, l’odio è un sentimento, un’emozione che non può essere represso nell’aula di un tribunale. Se questa è l’era dei diritti allora, come lo fece Oriana Fallaci, rivendico a gran voce anche il diritto all’odio e al disprezzo e a poterli manifestare liberamente nei toni e nelle maniere dovute. La libertà di espressione è una delle prime conquiste delle democrazie”.

“Gridare “gay di merda” è altrettanto odioso e discriminatorio che gridare “interista di merda”, “operaio di merda”, “uomo di merda”, “poliziotto di merda”, “professore di merda”.

“L’esagerazione, l’ostentazione, l’esibizione, tuttavia, porta a delle conseguenze che chi le pratica dovrebbe accettare: se vai in giro vestito come un pagliaccio non ti lamentare se poi qualcuno ride né pretendere che tutti si vestano come te o che si cospargano le vie di statue di pagliacci per far sembrare le pagliacciate parte della normalità”.

Cap IX: TASSE

“Altro luogo comune che sembrerebbe prevalere nel Belpaese è quello dell’improcrastinabile necessità di ridistribuzione della ricchezza che giustificherebbe l’aumento della già alta tassazione per le frange più agiate della società. Anticipo da subito che non gradisco il termine “ridistribuzione della ricchezza”: evoca in me, nel migliore dei casi, un mostro tentacolare che priva di beni chi li ha guadagnati onestamente per darli ai meno fortunati ma anche a chi, probabilmente, non si adopera sufficientemente per essere autosufficiente. Questo perché non mi sono mai piaciuti gli approcci eccessivamente deterministici alla vita, quelli secondo cui tutto è già scritto, stabilito, immutabile e la volontà divina non può che realizzarsi implacabilmente.

Mi piace invece pensare che ognuno di noi abbia in mano il proprio destino, che se lo costruisca giorno per giorno con le proprie azioni quotidiane sfidando anche il caso ed il fato con un’appropriata dose di volontà e determinazione. Gli audaci, quelli che secondo l’antico proverbio latino sono aiutati dalla fortuna, sono proprio costoro che con coraggio, merito, valore e competenza osano e tentano il tutto e per tutto per migliorare le proprie condizioni. Adattando questo ragionamento alla povertà se, da una parte, non può essere considerata una colpa, dall’altra non possiamo neanche interpretarla come una condanna dalla quale è impossibile sottrarsi secondo un principio che promuoverebbe un approccio fatalistico all’esistenza. Anche su questo tema vi sono due consolidate tendenze contrapposte: la prima, particolarmente affermata in tutti quei paesi in cui si attribuisce molta importanza e valore al “merito”, vede lo stato di povertà determinato fondamentalmente da comportamenti e modi di essere dei poveri stessi e, dunque, ascrivibile – almeno in buona misura – alla loro stessa responsabilità. L’altra, consolidata invece nel Vecchio Continente ed in molti paesi a trazione socialista, tende a considerare la povertà prevalentemente il frutto di una società ingiusta. Nel primo caso è il singolo l’attore principale, quello che si deve dare da fare per determinare il proprio futuro, nel secondo, invece, secondo l’affermata tendenza alla de-colpevolizzazione dell’individuo, la società ed i governi si dovrebbero accollare anche questa responsabilità e dovrebbero “livellare” le disuguaglianze secondo il principio della “giustizia sociale”.

“Partendo quindi da questi incontrovertibili dati, verificabili sul sito dell’ISTAT e dell’Agenzia delle Entrate, ne viene fuori un Paese in cui un’esigua minoranza, che non raggiunge il 15% di coloro che pagano le tasse, mantiene il resto della popolazione. Ha senso, quindi, parlare ancora di necessità di accrescere la ridistribuzione della ricchezza?”.

“Sentire cinquantenni percettori di reddito di cittadinanza asserire di non sapere fare nulla e di non avere alcuna qualifica per poter esercitare un’attività lavorativa lascia a bocca aperta. Né possiamo scaricare la colpa sullo Stato che sarebbe responsabile di non trovare il lavoro a chi lo aspetta seduto in poltrona, soprattutto pensando ai nostri nonni che, con una valigia di cartone ed un salame nel tascapane il lavoro se lo sono andato a cercare ovunque fosse stato disponibile”.

Cap. X: LA NUOVA CITTA’

“Chiusura dei centri che diventano pedonali, limiti di velocità a trenta all’ora per i pochi veicoli autorizzati, circolazione vietata ad ogni auto inferiore ad “Euro 6”, tasse per accedere alla ZTL sono le pene inflitte da una giuria degna di un tribunale rivoluzionario. Chi sgarra viene ripreso da telecamere cosparse lungo tutte le arterie e multato salatamente rimpinguando così le sempre più avide casse del comune. Ma anche senza le sanzioni amministrative i salassi e i divieti sono diventati costanti: parcheggi pubblici scarsi e a prezzi impossibili, aree destinate alla sosta rosicate da piste ciclabili e garage sotterranei carissimi contribuiscono ai prelievi quotidiani dalle tasche dei cittadini. I nuovi urbanisti propongono contestualmente una mobilità ecologista e alternativa fatta di biciclette e monopattini elettrici, mezzi pubblici che scarseggiano e salutari passeggiate”.

“L’auto privata, quindi, il simbolo della libertà, dell’emancipazione, degli anni del boom economico dove rappresentava la conquista degli operai che, a rate, si compravano la 600 Giardinetta, deve essere distrutta, eliminata, rottamata”.

“I nuovi ambientalisti nazionali bocciano ogni tipo di ecovalorizzatore e impongono una raccolta porta a porta che ci obbliga a tenerci nello sgabuzzino del nostro piccolo appartamento i gusci delle cozze mangiate giorni prima in attesa della giornata giusta per conferire gli scarti biologici”.